I Fedeli di Vitorchiano e la leggenda di Marzio
La storia dell'antico legame con Roma e il mito di Marzio, l'eroe di Vitorchiano.
L'originale storia di Vitorchiano è caratterizzata da una forte indipendenza e autodeterminazione, nessun vassallo né famiglia nobiliare lo governó ma furono gli stessi cittadini vitorchianesi, difendendo costantemente la propria libertà e i privilegi democratici conquistati con fierezza e orgoglio.
Era il 1199 e Viterbo era allora una cospicua e ricca città, con un esercito di 18.000 uomini, aveva sottomesso una cinquantina di castelli e distrutto l'antica città di Ferento. Vitorchiano era a confronto David contro Golia.
Tutte le cittadine si erano piegate al suo dominio eccetto i Vitorchianesi che volevano tutelare il gran bene della libertà e a tale idea furono sempre fedeli.
Perciò, dato che da soli poco o niente potevano fare, chiesero protezione a Roma, che aveva un’antica ruggine con Viterbo dal 1167 quando i Viterbesi le avevano addirittura portato via le porte di S. Pietro.
Neanche l'interdizione del pontefice Innocenzo III fece desistere i viterbesi, fu così che il 6 gennaio 1200, giorno dell’Epifania si scontrarono contro i romani, che guidati da Pandolfo della Suburra ottennero la vittoria.
Dallo scontro le mura castellane di Vitorchiano furono devastate e il piccolo borgo non aveva mezzi per la ricostruzione. Intervenne così un senatore romano, tale Giovanni degli Annibaldi, tesoriere del Senato di Roma, il quale sborsò la somma necessaria per rifare le mura, ma a una condizione: che Vitorchiano rimanesse soggetta ad un pegno fino alla soluzione del suo debito e che nel frattempo egli potesse amministrare la cittadina e riscuoterne le tasse.
La questione contro Viterbo non finì lì, pochi anni dopo i Viterbesi vollero vendicarsi, assediarono Vitorchiano e d’accordo con qualche traditore locale assalirono il borgo mettendolo a ferro e fuoco.
I Romani intervennero in difesa e ottennero un'altra vittoria. Le mura ancora una volta furono ricostruite, ma in questa occasione Roma affrontò direttamente la spesa impiegandovi ben 2000 ducati senesi. Vitorchiano ritornò più bella di prima.
Fu allora che sorse il Fidelato, Vitorchiano divenne parte integrante del Comune di Roma, poté fregiarsi dell'S.P.Q.R. e della lupa capitolina, un Contestabile e dodici Fedeli ebbero il prestigioso incarico di sorvegliare il Campidoglio e nel sigillo comunale fu inciso: «Sum Vitorclanum castrum membrumque romanum», i vitorchianesi ebbero l'onore di amministrarsi autonomamente.
Nel 1262, passati cinquant' anni dal debito contratto con l'Annibaldi, i cittadini decisero che era arrivato il momento di ritornare liberi, così i cittadini radunati tutti i loro averi, si procurarono 50 libbre di «provisine» in oro, e le consegnarono al pignorante Annibaldi che si fece lautamente pagare.
I Romani stupìti ed entusiasti dallo spirito di indipendenza e autodeterminazione dei vitorchianesi espressero il loro compiacimento con un diploma datato 10 dicembre 1257 di Enrico di Castiglia, che da taluni è stato ritenuto, ma stimiamo erroneamente, l’atto di nascita del Fidelato.
Quando i Romani attribuivano la qualità di "fidelis" a qualcuno, ciò avveniva con un cerimoniale onorifico, se si trattava di un popolo, esso diveniva "fratello" per adozione.
La città di Roma conferisce un appannaggio annuale a Vitorchiano tratto dalle imposte comunali che serve a retribuire la Guardia tra i cui compiti c'è anche quello di suonare le particolari trombe romane, dette "le clarine di Vitorchiano" in occasione delle principali manifestazioni pubbliche ufficiali.
A Roma la frase "suonare le clarine" è divenuta proverbiale e sta a significare chiamare a raccolta il popolo per la lotta.
I Fedeli furono prima posti al seguito del Senato Romano, poi dei Conservatori, sfilarono con Cola di Rienzo armati di tutto punto, nelle loro sgargianti livree rosso-oro, che secondo la narrazione popolare furono disegnate da Michelangelo Buonarroti.
Attualmente seguono nelle cerimonie solenni il Sindaco di Roma e il gonfalone della città, suonano le clarine, le lunghe argentee trombe che squillarono anche sugli spalti dello Stadio Olimpico in occasione delle Olimpiadi del '60.
Oggi passeggiando per le vie del Borgo si possono ammirare ancora le scritte suggestive che rammentano con fierezza e amore il Fidelato:
"Deo Romsuaeque esto fidelis"; "Romano imperio dicatum"; "Romano imperio summa fidelitas"; "Hisque romanis in terra Deo ubique parendum est".
I motti e le iscrizioni che si leggono sulle facciate e sulle porte delle antiche case del borgo, sulle architravi di porte e finestre del palazzo comunale, lo stemma di Roma sulla torre d’ingresso al paese, stanno a testimoniare il legame spirituale che unisce Vitorchiano a Roma fin dai tempi più remoti “sembra che fosse al cader dell’etrusca nazione” asserisce il Bovani, storico vitorchianese, riferendo nel suo libro “Memorie dei Fedeli di Campidoglio” la poetica e patetica leggenda di Marzio.
Nei musei capitolini è custodita una famosa e miselteriosa statua bronzea di epoca ellenistica: “Lo Spinario”, che rappresenta un giovane che estrae una spina dal suo piede sinistro. I Vitorchianesi la identificano con Gnaeus Marzius.
Una leggenda tramandata oralmente racconta di un giovane pastore di nome Marzio che corse da Vitorchiano, per recare a Roma una notizia allarmante: un minaccioso esercito nemico etrusco-gallico proveniente dal nord stava marciando alla volta della capitale.
Durante il tragitto si trafisse un piede con una spina, attraversando la temuta Selva Cimina, si fermò solamente per tentare di estrarla nel gesto rappresentato dal "Cavaspina" e stoicamente proseguì la sua missione.
Giunto in Campidoglio fece appena in tempo ad avvertire il console Quinto Fabio Massimo Rulliano del pericolo incombente, finché trafelato ed esausto, cadde esanime ai piedi dei senatori. I Romani organizzata la difesa della città riuscirono a respingere l'attacco nemico, Roma fu salva.
"Meravigliati i Romani di tanta virtù, onorato lo vollero di statua in bronzo, che fu poi monumentato dell’arte, che tuttora tra li molti bellissimi del Campidoglio si ammira, ed i Vitorchianesi in conto si ebbero di Fedeli titolo che sino ad oggi gloria rimane” - Bovani.
Una scultura di Luigi Fondi, realizzata nel 1979 da un blocco di peperino estratto da una cava di Vitorchiano, è stata posta nel 2017 di fronte le mura castellane del borgo in Piazza Umberto I.